Pietro Sanua, ucciso nel 1995: «delitto mafioso». Così la ’ndrangheta punì l’ambulante. Il figlio: vicini alla verità

Pietro Sanua, ucciso nel 1995: «delitto mafioso». Così la ’ndrangheta punì l’ambulante. Il figlio: vicini alla verità

Il sindacalista ucciso 26 anni fa a Corsico. La procuratrice Dolci: «Omicidio commesso con il benestare dei vertici della criminalità organizzata». La vittima riscoperta grazie a Libera e al centro di una ricerca della Statale. Le carte dell’inchiesta e la pista di una vendetta.

Questa è la storia di Pietro. Ma anche di Lorenzo, Francesca, Nando, Mattia e Alessandra. È la storia di un omicidio irrisolto dopo 26 anni e di un’indagine che per la terza volta si riapre in cerca della verità. Verità che oggi il magistrato a capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci assicura di voler inseguire «con tutto l’impegno possibile». Perché non esistano vittime senza giustizia, perché questa storia abbia finalmente una verità. Quella su un ambulante ucciso, su un padre ammazzato una mattina di febbraio, su un uomo buono che non sopportava mafia, mafiosi e prepotenti. La verità sulla morte di Pietro Sanua.

L’omicidio

Fa un freddo cane a Corsico alle sei di mattina del 4 febbraio 1995. I campi sono coperti di brina. All’orizzonte la foschia si mischia con la nebbia che sale dal Naviglio. Via Di Vittorio è una strada che nasce come un rivolo d’acqua dalla Nuova Vigevanese. Da un lato c’è la statale, dall’altra una fila di auto parcheggiate. È lunga un chilometro ma è come se non portasse da nessuna parte. Anzi in un posto ci arriva. E sembra un piazzale, anche se è soltanto una curva della strada. È lì che deve andare Pietro Sanua al volante di un furgone telonato. Perché il 46enne, arrivato a Milano da Lavello in provincia di Potenza quando aveva solo 13 anni, è un commerciante ambulante. È anche un sindacalista, il segretario provinciale di Anva, l’associazione degli ambulanti di Confesercenti. È anche tra i fondatori di Sos Impresa, sempre di Confesercenti, che si batte contro usura e illegalità. Ma non conta, perché oggi è sabato. E il sabato è giorno di mercato. Deve scaricare le casse di frutta e verdura, deve montare la copertura perché anche se non piove l’umidità bagna la merce rendendola invendibile. Deve fare in fretta, Pietro Sanua. Perché là in fondo, dove c’è quel piazzale che non è un piazzale, si vedono già i tendoni degli altri ambulanti. E anche se fuori fa un freddo cane, tra poco arriveranno i primi clienti. Di fianco a lui c’è il figlio Lorenzo, che ha 20 anni, e dà una mano. Come si usa ancora nelle famiglie di provincia dove i figli diventano da subito forza lavoro. Lorenzo s’è quasi appisolato nel tepore del riscaldamento. Sono partiti da Cisliano, tredici chilometri più indietro, perso nelle campagne che portano a Magenta. Sono meno di venti minuti di strada, e ormai è fatta il piazzale è là in fondo. Ma il furgone di Sanua, al mercato comunale di Corsico, non ci arriverà mai.

Le prime indagini

La volante «Genova quinto turno» arriva in via Di Vittorio alle 6.20 di sabato 4 febbraio 1995. Qualcuno ha chiamato in questura dicendo d’aver sentito colpi d’arma da fuoco: «Giunti sul posto si constatava che l’autocarro Mercedes 410D targato MI 4T1504 era fermo sul lato sinistro della strada contro due auto in sosta e che a bordo dello stesso si trovava persona riversa di lato, precisamente lato destro, con una vistosa ferita alla testa». Per la prima volta, attraverso il fascicolo processuale dell’epoca, è possibile ricostruire ogni passaggio dell’indagine. Gli agenti chiedono cosa sia successo al figlio Lorenzo che era al suo fianco «in preda a un evidentissimo stato confusionale». È successo che appena il furgone ha svoltato verso via Di Vittorio, è passato sotto al cavalcavia e mentre riprendeva la marcia dopo essersi fermato allo stop, Lorenzo ha sentito un colpo fortissimo alla sua sinistra, s’è voltato e ha visto papà accasciarsi verso di lui. Non ha nemmeno il tempo di schiacciare il pedale dei freni. Il furgone continua la sua corsa, per inerzia, per altri sessanta metri prima di fermarsi contro una Tipo e una Golf parcheggiate lungo la strada. Il vetro del finestrino lato guida è infranto, sul montante «un grosso foro apparentemente causato da un’arma da fuoco di grosso calibro». Un altro è sul lato destro «probabilmente quello d’uscita». Nel montante c’è una borra di plastica «che normalmente racchiude le cartucce calibro 12 da caccia». Qualcuno ha sparato a Sanua. E lo ha fatto affiancandosi al furgone con un fucile da caccia. Un fucile con le canne tagliate, una lupara.

Nessun testimone

Via Di Vittorio è un posto strano per sparare. Sulla destra ci sono quattro palazzine altre nove piani. Tutte affacciate sul luogo dell’agguato. Sono case d’edilizia popolare, piene di gente arrivata tra gli anni Settanta e Ottanta dal Meridione. Gente che anche di sabato si sveglia presto. E c’è il rischio d’essere visti. Su poco più di trecento metri di strada affacciano la bellezza di 1.629 finestre. Chi spara deve conoscere bene la zona e in qualche modo sentirsi protetto. Infatti quella mattina non vede nessuno. C’è il signor Daniele B. del quarto piano, il primo ad accorrere che però «al momento dei fatti si trovava a letto all’interno della sua abitazione, udiva due esplosioni provenire dalla strada e affacciandosi notava un ragazzo che in maniera agitata chiedeva aiuto». C’è la famiglia L., una delle tante che chiamano il 113, che interrogata dalla polizia «riferiva solo di avere udito due detonazioni». Lo stesso ripetono la famiglia D. e Domenico D. B. «che come gli altri non riferivano particolari utili». È come ascoltare racconti fotocopia, che non servono a niente. Alle dieci di mattina il camion di Sanua viene preso in consegna dall’autoparco Borelli. Frutta e verdura finiscono al Centro di produzione pasti di via Pitagora del Comune di Corsico. C’è una fotografia in bianco e nero che riprende il momento in cui viene rimosso il furgone. In fondo, oltre la curva, si vedono le bancarelle del mercato aperte. Ci sono due volanti della polizia, la macchina dei vigili di Corsico e un capannello con una decina di curiosi e agenti in borghese. Sono gli investigatori della Quarta Sezione della squadra Mobile, la Omicidi. Il primo atto d’indagine, come avviene sempre in questi casi, è la perquisizione a casa della vittima. Dura un’ora (dalle 10.15 alle 11.15) e ha esito «negativo». Nel gergo giudiziario significa che non è saltato fuori niente di utile: droga, armi, soldi. I poliziotti portano via una valigetta con i documenti dell’attività sindacale di Sanua, un’agenda e alcune fotografie della curva rossonera che appartengono al figlio Lorenzo, tifoso milanista come papà. Lorenzo Sanua, in quelle stesse ore, viene ascoltato in questura: «Siamo partiti alle 6.07 da casa. Con mezz’ora d’anticipo perché ci mancavano arance, carciofi, spinaci e cime di rapa. Dopo aver scaricato la merce e allestito la bancarella io sarei rimasto lì a vendere e lui sarebbe andato a Milano, all’Ortomercato per rifornirsi». Lorenzo racconta anche che durante il tragitto è successo qualcosa di strano. Molto strano. Una Ford Fiesta blu, o almeno così gli sembra, targata Genova, con due persone a bordo, che all’altezza di San Vito di Gaggiano, a metà strada, arriva nella direzione opposta. Poco prima di incrociare il furgone però, l’uomo che è alla guida fa una manovra brusca, un’inversione a U: «Contestualmente ha rallentato tanto che noi l’abbiamo raggiunta e sorpassata. Ho notato che su tale auto vi erano due persone. Poi non l’ho più vista ma sono sicuro che non ci abbia sorpassato». La vede anche suo padre Pietro che rallenta bruscamente e si lascia andare: «Va’ che pirla». Il racconto prosegue con un altro dettaglio importante. Dopo gli spari, e mentre il furgone continua la sua corsa contro le auto in sosta, Lorenzo ha «sentito il rumore di una sgommata».

Il giallo della Thema

La Fiesta misteriosa però non c’è. O meglio, non è una Ford Fiesta ma una Fiat Uno. È targata Genova, e la targa è in sostanza l’unica cosa che rimane. Perché il resto è uno scheletro bruciato dal fuoco. La macchina è stata rubata a Milano il giorno prima. Il proprietario, Bruno P., fa denuncia al commissariato Ticinese il 3 febbraio. Era parcheggiata in via San Vigilio, alla Barona. A cinque chilometri dal luogo dell’agguato. La macchina che brucia viene segnalata da Paolo B., che alle 6.20 sta entrando in una fabbrica di via Copernico a Trezzano sul Naviglio (a quattro chilometri da via Di Vittorio) dove fa l’operaio. Quella mattina non riesce a inserire la chiave della stanza dove c’è l’orologio per timbrare il cartellino. Così va verso la casa del custode. «Ho visto un giovane che si trovava fermo sull’angolo dove ci sono dei cespugli che costeggiano il prato. Nel momento in cui ho guardato il giovane è corso attraversando lo spiazzo. Ho guardato di nuovo l’orologio erano le 6.30 e proprio a quel punto ho sentito un rumore di vetri ed uno scoppio seguito da un forte bagliore». Paolo B. è sicuro che la macchina non ci fosse quando è entrato nel cortile della ditta. Fa anche una descrizione del giovane («Capelli corti, lisci, pettinati all’indietro con gel. Un tipo molto curato, ben vestito»). Lo racconta anche ai carabinieri che accorrono dopo pochi minuti «perché si trovavano in transito nella zona». I militari vedono la macchina che brucia e si allontano subito. Ritornano dopo una manciata di minuti e l’operaio li sente parlare di un omicidio avvenuto poco prima a Corsico. I carabinieri gli chiedono se avesse visto un’auto, un modello preciso: una Lancia Thema. L’operaio dice di «non aver notato quel tipo di autovettura». La richiesta sembra strana, così a bruciapelo. Ed è strana davvero, perché nessuno dei testimoni sulla scena del delitto ha mai parlato di una Lancia Thema. In un’informativa firmata dall’allora dirigente della Mobile Gaetano D’Amato datata 10 febbraio, sei giorni dopo il delitto, la Thema ricompare. Ne parla un confidente, di cui non è riportato il nome, ai poliziotti che lo contattano nel pomeriggio del 9 febbraio: «La persona riferiva di conoscere il Sanua da diversi anni e che verso la fine di novembre o l’inizio di dicembre scorso, lo stesso gli aveva riferito che una mattina, forse un sabato, mentre a bordo del suo furgone si apprestava a uscire dalla sua abitazione, aveva notato un’autovettura Lancia Thema che a forte velocità si dirigeva verso di lui e che, giunta proprio davanti al suo furgone, effettuava una manovra brusca evitando l’impatto. Dopodiché la Lancia Thema effettuava una svolta intraprendendo lo stesso senso di marcia del Sanua, quindi lo affiancava e il conducente apriva lo sportello con l’intento di far fermare il Sanua che evitava l’autovettura riprendendo quindi la sua marcia». Strana questa storia. Perché i carabinieri cercavano proprio una Thema quella mattina? La vittima aveva raccontato ad altri di quell’episodio?

Ortomercato e fiori

Le indagini della polizia scavano prima sul passato della vittima e della sua famiglia. Ma non emerge niente. Poi ricostruiscono il ruolo della vittima all’interno del sindacato degli ambulanti. Sanua, oltre ad essere il presidente di Anva, era il referente degli ambulanti del mercato di Buccinasco. Era lui ad occuparsi delle controversie, delle questioni organizzative, dei rapporti con i vigili urbani. Lo faceva anche per quello di Quarto Oggiaro. Non proprio Beverly Hills in quegli anni. Pietro Sanua fa anche parte delle commissioni comunali che decidono l’assegnazione dei posti fuori dai cimiteri in occasione delle festività di novembre. Sono posti ambiti, ambitissimi. E finiscono sempre allo stesso ristretto giro di persone. Se ne parla da tempo, sottotraccia, della «mafia dei fiori a Milano». Molti sanno, pochi denunciano. Sanua era uno di quelli che voleva far saltare il banco, ne aveva parlato durante le commissioni perché c’erano venditori che ancora prima dei sorteggi sapevano di non aver ricevuto l’assegnazione per i posti più ambiti. I verbali di quelle riunioni però non esistono più. O quantomeno in 26 anni nessuno li ha mai trovati. La pista è affascinante. Perché pochi anni dopo si scoprirà che dietro all’affare dei fiori ci sono famiglie legate alla malavita. E anche personaggi implicati in usura e traffici di droga. Ci sono complicità istituzionali e c’è l’Ortomercato che da sempre è un crocevia degli affari mafiosi e criminali. Nei camion di frutta e verdura arriva di tutto: armi, eroina, cocaina. Sanua era diventato un ostacolo a quei traffici?

«Un delitto mafioso»

Pista affascinante, certo. Ma anche troppo. Perché non c’è logica nel collegare un omicidio avvenuto in modo così plateale, per strada, con il rischio di essere visti ad una storia molto distante da questi luoghi. Pietro Sanua spesso rientrava tardi la sera per gli impegni nella sede di via Pasteur dell’Anva, era un obiettivo facile da colpire in qualsiasi momento. C’è poi un altro elemento che, a ventisei anni di distanza, ha acquisito sempre un maggior rilievo. Ed è un fattore base: il luogo in cui è avvenuto l’agguato. A Corsico e Buccinasco quelli sono gli anni del dopo Nord-Sud, la maxi operazione che ha portato in carcere un centinaio di ‘ndranghetisti delle più importanti famiglie: Barbaro, Papalia, Sergi, Molluso, Violi, Zappia. In quegli anni si scopre che la mafia calabrese controlla il territorio in modo militare. Che significa contare anche i fili d’erba. Possibile che i clan non sapessero nulla di quell’agguato? «Impossibile», sostiene oggi il procuratore aggiunto Alessandra Dolci, capo della Dda: «È assolutamente pacifico che si sia in presenza di un omicidio per mano mafiosa. Il principio di territorialità non è soltanto una ipotesi, è sicuramente vero che questo delitto possa essere stato commesso con il nullaosta dei vertici del locale di Corsico e Buccinasco. Sicuramente sapevano e hanno dato il loro assenso. Dobbiamo riflettere su quel contesto». Sono importanti le parole del procuratore, perché riscrivono buona parte della storia di questo delitto e lo inseriscono in un contesto mafioso. E soprattutto perché è lei oggi a guidare le nuove indagini dopo che il figlio Lorenzo e la madre Francesca hanno chiesto ufficialmente la riapertura del caso attraverso gli avvocati Nicola Brigida e Francesco Repici. L’avevano già fatto nel 2012 con l’avvocato di Libera, l’associazione di don Ciotti, Ilaria Ramoni. Si era guardato anche a interessi legati a una neonata organizzazione sindacale degli ambulanti. Ma senza arrivare a nulla. L’associazione antimafia ha un ruolo fondamentale in questa storia, così come il suo presidente onorario Nando dalla Chiesa. È lui nel 2010 a riscoprire la storia di Sanua. Le indagini s’erano chiuse dopo sei mesi dall’omicidio, sulla storia era piombato il silenzio. Anche dei media. Libera decide di censire le vittime di mafia in Lombardia. Salta fuori il nome di Pietro Sanua e viene contattato il figlio Lorenzo e la madre. Si torna a parlare di quella morte anche grazie all’impegno di David Gentili e al compianto Davide Salluzzo.

La ricerca della Statale

Oggi, in concomitanza con le nuove indagini affidate alla squadra Mobile diretta da Marco Calì, il professor dalla Chiesa attraverso Cross, l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università Statale, ha deciso di realizzare una ricerca storico-sociologica sul delitto Sanua. Lo studio è redatto dal ricercatore Mattia Maestri con la collaborazione della docente della Bocconi Eleonora Montani e il sostegno di Sos Impresa ed è stato presentato insieme al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. «La ricerca non indica uno o più responsabili penali, risultato precluso già in origine dallo statuto deontologico proprio del ricercatore sociale. Ma stringe progressivamente il cerchio su interessi, episodi, relazioni e protagonisti, senza mai dimenticare quel che si muove comunque all’esterno del cerchio. Alla fine, il lettore viene messo in grado di darsi una spiegazione efficiente, nel senso weberiano, della morte “per lupara” del sindacalista del commercio Pietro Sanua. E forse anche dei silenzi che l’hanno circondata», scrive dalla Chiesa nella sua prefazione. È per questo che oggi non parliamo soltanto della storia di Pietro, ma dell’impegno civile di Lorenzo (il figlio), Francesca (la moglie), Alessandra (Dolci), Nando (dalla Chiesa), Mattia (Maestri) e di ogni persona che in questi 26 anni ha lottato, spesso nel silenzio, per sostenere la ricerca della verità. Giudiziaria e anche storica. Tanto che martedì 22 giugno a Corsico, il sindaco Stefano Ventura ha deciso di intitolare l’aula del Consiglio proprio alla memoria del commerciante ucciso.

La lite al mercato

Per capire per quale motivo dopo 26 anni siano state riaperte le indagini sul delitto bisogna tornare al 1995 e alle prima battute dell’inchiesta. La pista degli affari sporchi è affascinante e suggestiva. Vengono sentiti alcuni rappresentanti sindacali degli ambulanti che confermano un quadro opaco del settore. Ma emerge poco altro. Anche perché l’inchiesta della Mobile punta decisa su un’altra pista. È la più ovvia, tanto da sembrare addirittura banale. E riconduce tutto a una lite, avvenuta mesi prima, al mercato di Corsico. Eppure, riletta dopo quasi tre decenni, questa storia acquisisce una luce molto diversa. E forse non è stata del tutto chiarita. Come detto Sanua era anche referente dei mercati rionali. La storia in sostanza è questa: al mercato di Buccinasco s’era liberato un posto lasciato vuoto da un ambulante «coltivatore diretto». Un altro ambulante, con un autobar, aveva fatto richiesta di quella piazzola. Tutti erano d’accordo perché si trattava di un punto vendita che mancava in quel mercato, tanto che gli altri negozianti fecero una raccolta firme per sostenerlo, anche se il posto (come avverrà mesi dopo proprio su iniziativa di Sanua) spetterebbe di diritto a un «coltivatore diretto». A quello stesso posteggio però era interessata anche un’altra ambulante, A. M., titolare di una licenza per ortofrutta, che «vantava una maggiore anzianità». Scrive la Mobile: «Sanua, fiduciario del mercato, s’era apertamente schierato dalla parte del primo ambulante e questo aveva provocato il disappunto della M. che era convinta che il Sanua aveva preso le difese di quell’ambulante per non avere un ulteriore concorrente essendo anch’essa commerciante di frutta e verdura». Letta così la storia sembra davvero poca cosa. Nei verbali dei testimoni però i toni della questione vengono ricostruiti diversamente. L’ambulante dell’autobar racconta di un diverbio acceso tra Sanua e Gaetano S., il marito della negoziante rimasta esclusa. «Tutto avviene nella primavera dell’anno scorso. In quella circostanza, riferitami da mio marito, Sanua si era scaldato verbalmente nei confronti del signor Gaetano S. per una questione di un posto da assegnare per il quale non trovavano accordo. La stessa terminava con l’intervento di un vigile urbano che sedava gli animi dei pretendenti». L’episodio è descritto anche in un rapporto di servizio firmato da un agente della polizia locale di Buccinasco datato 6 aprile ‘94: «Finita l’assegnazione dei posti vacanti agli spuntisti (gli ambulanti senza piazzola fissa, ndr), lo scrivente assisteva a un acceso diverbio tra il signor Sanua (fiduciario del mercato stesso) e il signor Gaetano S., grazie all’intervento di alcune persone presenti veniva evitato che il diverbio degenerasse. Detto diverbio era altresì nato dalle dichiarazioni provocatorie dello stesso Sanua il quale affermava che si sarebbe dovuto trovare un coltivatore diretto a cui assegnare il posto vacante occupato dalla consorte del Gaetano S.». C’è anche un secondo rapporto di servizio, un mese dopo (11 maggio) dove un vigile descrive un’altra discussione al mercato in cui Sanua «già noto per i suoi numerosi interventi polemici» contestava l’operato dell’agente addetto al mercato. Sanua riteneva che il primo posteggio libero dovesse andare alla titolare dell’autobar e «contestava la priorità nell’assegnazione del posto più agevole alla più anziana di spunta A. M., in favore dell’altra ambulante»: «Tale affermazione veniva ripetuta più volte alla presenza di numerosi testimoni accorsi sul luogo richiamati dall’alto timbro di voce usato dal Sanua che abitualmente, ogni qualvolta si trova in discussioni con gli agenti in zona mercato, usa parlare ad alta voce per richiamare l’attenzione degli astanti».

Interrogatori e smentite

Gli investigatori decidono di interrogare A. M., che racconta un’altra storia, quasi edulcorata. «Non sapevo che Sanua fosse il referente dei mercati. Quanto alla questione del posto mi aveva dato ragione. Non ho mai avuto a che dire con il Sanua». La donna racconta anche che il marito Gaetano «non lavora più in quanto affetto da diabete». I poliziotti sentono il marito che conferma la versione. «Da due anni io non frequento più i mercati in quanto sono ammalato di diabete e di bronchite cronica. In tale attività mia moglie viene aiutata da mio genero». È a conoscenza dei vari problemi al mercato che hanno sua moglie e suo genero? «Sono a conoscenza dei problemi solo se me li raccontano. Devo dire comunque che non hanno mai avuto problemi altrimenti me li avrebbero raccontati». Conosceva Sanua? «Solo di vista da tanti anni. So che in qualche mercato aveva la qualifica di fiduciario ma di lui non sono in grado di dire altro in quanto, come ho già detto, da circa due anni non frequento più i mercati». Una pagina di verbale, tre domande e stop. I litigi al mercato vengono negati anche dal figlio della coppia e dal genero. Tutti negano l’esistenza di quelle liti. Eppure ci sono le relazioni di servizio dei vigili a provarlo.

L’uomo del sequestro

Ma chi è Gaetano S.? Gli inquirenti annotano che è nato a Santo Stefano in Aspromonte (Reggio Calabria) e «ha precedenti per sequestro di persona, estorsione, armi e già sottoposto a libertà vigilata». Lo stesso vale per moglie, entrambi coinvolti nel 1974 nel sequestro dell’imprenditore Carlo Alberghini. Nelle cronache dell’epoca si racconta che Gaetano S. è proprietario di cinque appartamenti e sta costruendo una villa a Trezzano sul Naviglio. Con loro viene arrestato anche un 21enne di Platì. La sproporzione tra i beni della famiglia e il lavoro (tre volte a settimana) nei mercati colpisce i carabinieri che ipotizzano che la famiglia sia inserita in un giro be più ampio. Vengono condannati rispettivamente a 14 e 7 anni di carcere. Così gli agenti della Omicidi decidono di mettere sotto intercettazione i telefoni della famiglia. Tra le conversazioni captate ce n’è una che riguarda la vendita di una villa. In un’altra si fa riferimento all’interrogatorio e a quella lite avuta con Sanua. Le indagini però si chiudono con un pugno di mosche. E a sei mesi dal delitto gli inquirenti decidono di archiviare il procedimento.

Le nuove piste

Le nuove indagini ripartono da qui. Anche perché, nonostante il signor Gaetano S. sia morto negli anni successivi sono emersi alcuni elementi che lo collocano molto vicino a quelle famiglie mafiose («i vertici della ‘ndrangheta di Corsico e Buccinasco») che controllavano e ancora controllano il Sud Ovest Milanese. Intanto c’è Saverio Morabito, il collaboratore di giustizia dell’inchiesta Nord-Sud, che racconta come il sequestro Alberghini fosse «riconducibile al gruppo Papalia in quanto alcuni suoi paesani, tra cui Rocco Papalia, gli avevano fatto intendere in quel modo. Materialmente il sequestro venne eseguito da un gruppo di Bergamo, mentre la gestione fu affidata a calabresi». Il nome di Gaetano S. compare nelle carte di diverse indagini, a volte storpiato con la vocale finale sostituita. Si scrive che «aveva contatti e collegamenti» con Saverio Sergi, nome pesante della cosca di Buccinasco. Nel 2004, Gaetano S. viene controllato in via Piave a Corsico insieme a diversi pregiudicati calabresi per mafia tra cui Giuseppe Barbaro e Domenico Agresta, capi della cosca. Lo stesso era avvenuto nel ‘99 quando era stato fermato al circolo Montello di Corsico (l’ex covo dei Papalia) con vari pregiudicati per associazione mafiosa e uomini della famiglia Trimboli. Non significa nulla, nessuna attinenza con il delitto Sanua e le indagini sul caso. Però tutto questo stride con il racconto dell’uomo malato e debilitato fatto dalla moglie e dai parenti. E soprattutto con quella tenacia nel negare i dissapori con la vittima. In quegli anni, peraltro, anche il capo della famiglia Zappia, Pasquale lavora come venditore ambulante di frutta e verdura. Zappia è un nome di primo piano della ‘ndrangheta e viene condannato nell’inchiesta «Infinito» del 2010 perché viene nominato al famoso summit del circolo Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano reggente delle cosche della «Lombardia». Nelle nuove indagini c’è anche una intercettazione che arriva dalla Calabria dove un personaggio legato ai clan racconta di aver fatto un omicidio a Milano molti anni fa quando ancora era minorenne. «L’omicidio di un fruttivendolo» . I primi accertamenti della polizia però avrebbero escluso per ragioni temporali un legame con il delitto.

Le certezze e la verità che manca

La conclusione di questa storia è ancora da scrivere. Manca il capitolo più importante, quello sulla verità giudiziaria. «Dopo 26 anni è complicato arrivare a elementi incontrovertibili che possano portare a un processo, ma stiamo lavorando», racconta un investigatore. Un pezzo di verità storica però già c’è. Sanua è stato ucciso con modalità mafiose, in un territorio fortemente controllato dalla ‘ndrangheta e aveva avuto liti accese con personaggi legati in qualche modo a quegli ambienti, sia in passato sia negli anni successivi. E negli anni Novanta questo bastava per essere uccisi. Su questo sono importanti le parole del capo della Dda Dolci che invita a guardare al «contesto» di quegli anni, di quel territorio. Impossibile che tra Corsico e Buccinasco nessuno conosca le ragioni di quel delitto rimasto irrisolto. Chi sa però finora ha scelto di non parlare e questo conferma implicitamente che quel delitto, ancora oggi, toccherebbe personaggi ed equilibri intoccabili. «Non siamo mai stati così vicini alla verità», ripete il figlio Lorenzo oggi 47enne e referente del presidio Sud Ovest di Libera: «Possiamo davvero sapere chi ha ucciso mio padre».

Credit: Corriere della Sera - Milano

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