CoronaVirus, approfondimento giuridico LDS Service
AGGIORNAMENTO Confesercenti: in considerazione della Legge n.35 del 22 Maggio 2020 e per quanto riguarda la violazione delle norme di contenimento anti Covid-19, segnaliamo che:
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il mancato rispetto delle misure di contenimento è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 400 a € 1.000. Il trasgressore è ammesso a pagare, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione, una somma pari al minimo; tale somma è ridotta del 30 per cento se il pagamento è effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione.
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si applica la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30 giorni quando le misure di contenimento violate riguardino:
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sospensione delle attività commerciali di vendita al dettaglio o all'ingrosso;
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la limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti;
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limitazione o sospensione di altre attività d'impresa o professionali, nonché di lavoro autonomo; si applica altresì la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da 5 a 30.
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nel caso della somministrazione di alimenti e bevande, può comportare la chiusura non solo dell’attività di somministrazione, ma, qualora sia disposta la chiusura dell’esercizio, anche delle attività di vendita per asporto o a domicilio.
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Per ulteriori informazioni contatta lo Sportello SOS Imprese CoronaVirus attivato da Confesercenti Milano per stare vicina alla tua impresa (clicca qui per ulteriori informazioni):
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Milano, 24 marzo 2020 - Dal 9 marzo l’Italia è blindata da stringenti misure destinate al contenimento del virus. Se un individuo esce dalle zone dove si trova, senza rendere l’attestazione prescritta, cosa rischia? E se transitando per l’Italia, rende una dichiarazione falsa? A cosa vanno incontro i gestori degli esercizi commerciali che non fanno rispettare la distanza interpersonale di un metro? Chi sorveglia sul rispetto delle misure?
Misure nazionali
In prima battuta, e di fatto solo per poche ore, il DPCM 8 marzo 2020, nella forbice temporale tra la data di emanazione (e contestuale entrata in vigore, come anche pubblicazione in G.U.) ed il 3 aprile 2020 aveva previsto il rafforzamento delle misure già previste in precedenti provvedimenti, estendendole all’intero territorio nazionale (art. 2) e, al contempo, delimitando una nuova area territoriale (zona arancione) per la quale ha dettato misure specifiche (art. 1):
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regione Lombardia.
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province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro-Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano Cusio Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia.
L’art. 1 del DPCM 9 marzo 2020, ha statuito che “Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all'intero territorio nazionale”. Grazie al rinvio al precedente DPCM, la validità è fino al 3 aprile, implementato con il DPCM 22 maro 2020. L’articolo 4 del DPCM 8 marzo, al comma II testualmente recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto degli obblighi di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, come previsto dall’art. 3, comma 4, del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6”. Per l’effetto tutti gli “obblighi” contenuti nel provvedimento risultano sanzionati col reato contravvenzionale ex art. 650 c.p., mentre per le numerose “raccomandazioni” ivi contemplate, il medesimo testo non prevede conseguenze.
Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità
Ricompreso nel Libro III (Delle contravvenzioni in particolare), Titolo I, Capo I, Sezione I (Delle contravvenzioni concernenti l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica) l’art. 650 statuisce che “Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordinepubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro”. Ad esempio, i più gravi reati ipotizzabili potrebbero identificarsi in:
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Resistenza a un pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), per chi, nel fuggire dalle zone “arginate” dalle forze dell’ordine, resista alle stesse;
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Delitti colposi contro la salute pubblica (452 c.p.), che va a punire chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439, attraverso la pena della reclusione, graduata secondo le tre distinte ipotesi ivi contemplate.
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Epidemia art. 438 cp.
Sanzioni per autodichiarazioni mendaci
Nelle zone arancioni, estese a tutta la penisola (in virtù dell’art. 1 del DPCM 9 marzo) è prescritto (art. 1, c. I, lettera “a”) di evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori, come pure all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da:
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comprovate esigenze lavorative,
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situazioni di necessità,
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motivi di salute.
Dette circostanze devono essere attestare attraverso l’autodichiarazione disponibile sul portale istituzionale del Viminale.
È il corpo dello stesso modulo a richiamare le sanzioni per le ipotesi di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale:
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art. 76 del DPR n. 445/2000, che richiama i reati di falso, anche commessi ai danni di pubblici ufficiali;
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art. 495 c.p. recante “Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri”, prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni.
Il D.L. 9 marzo 2020, n. 14, all'art. 15, comma 1, specifica che:
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la chiusura dell'esercizio o dell'attività va da 5 a 30 giorni;
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la violazione è accertata ai sensi della Legge 24 novembre 1981, n. 689;
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la sanzione è irrogata dal Prefetto.
Soggetti incaricati al monitoraggio
Il DPCM 8 marzo 2020 incarica i Prefetti territorialmente competenti, cui assegna lo specifico compito di garantire il rispetto dei limiti e delle regole ivi previste, che potranno avvalersi di:
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forze di polizia,
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vigili del fuoco,
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forze armate.
Per quanto concerne il monitoraggio sull’andamento degli isolamenti domiciliari, come pure sulla mappatura e sulla diffusione del virus, il decreto individua gli operatori sanitari.
Sanzioni contemplate nella direttiva del Ministro degli Interni rivolta ai prefetti
Nella finalità di attuare i controlli nelle zone a “contenimento rafforzato” la Direttiva del 9 marzo prevede, tra le altre cose, che:
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la veridicità dell’autodichiarazione (per gli spostamenti) potrà essere verificata anche con successivi controlli;
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la sanzione per chi viola le limitazioni agli spostamenti è quella indicata dal dpcm 8 marzo 2020 (articolo 650 c.p., cioè “Inosservanza di un provvedimento di un’autorità”), salvo che non si possa configurare un’ipotesi più grave;
al fine di fornire al pubblico un’informazione non solo corretta ma quanto più esaustiva possibile, il personale operante provvederà anche a informare gli interessati sulle più gravi conseguenze sul piano penale di un comportamento, anche solamente colposo, non conforme alle previsioni del DPCM 8 marzo, che possono portare a configurare ipotesi di reato.
PROCEDIMENTO PENALE
L’art. 650 cp essendo reato contravvenzionale può essere perseguito con un procedimento speciale previsto e disciplinato dagli artt. 459 e ss. c.p.p., denominato:"casi di procedimento per decreto", atteso che si tratta di una fattispecie penale a cui può essere applicata la sola pena pecuniaria "anche se inflitta in sostituzione di una pena detentiva". In tale contesto, una volta ricevuta la trasmissione della notizia di reato, il Pubblico Ministero può richiedere al Giudice per le Indagini Preliminari l'applicazione della pena pecuniaria, id est l'ammenda. Così chiarito che la disposizione di cui all'art. 650 c.p. è un reato (ancorchè punito con la sola pena pecuniaria), bene rappresentare quali potrebbero essere le conseguenze derivanti dalla sua violazione.Trattandosi di un reato, il trasgressore è sottoposto ad un procedimento penale a seguito della denuncia formalizzata dai preposti organi di controllo, i quali, laddove ravvisino la sussistenza dell'inosservanza delle disposizioni contenute nel noto decreto emanato a seguito dell'emergenza sanitaria, trasmettono gli atti attestanti la violazione alla Procura della Repubblica del luogo ove il reato si è consumato. Come già accennato, per siffatta violazione il Pubblico Ministero può richiedere, in assenza di contraddittorio tra le parti, al Giudice per le Indagini Preliminari la condanna dell'imputato trasgressore per la violazione dell'art. 650 c.p. attraverso l'emissione di un provvedimento denominato:”decreto penale di condanna”. L'informativa circa la sussistenza del procedimento penale può essere fornita al trasgressore al momento della contestazione del fatto ove potrebbe essere invitato dall'autorità preposta all'accertamento della violazione a nominare un difensore di fiducia e ad eleggere un domicilio ove ricevere le comunicazioni e/o le notifiche relative all'instaurando procedimento penale.
Ove ciò non dovesse avvenire, il trasgressore potrà non avere informazioni circa lo stato del procedimento a suo carico fino alla notifica del decreto penale di condanna, che, in assenza di preventiva elezione di domicilio, avverrà presso la sua residenza. Il decreto penale di condanna non è altro che un provvedimento che, in estrema sintesi, contiene le generalità dell'imputato, l'enunciazione del fatto e delle disposizioni di legge che si intendono violate, la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui è fondata la decisione, comprese le ragioni dell'eventuale diminuzione della pena al di sotto del minimo edittale, il dispositivo e, cosa ancora più importante, l'avviso che l'imputato trasgressore può proporre opposizione entro quindici giorni dalla notifica dello stesso. Mediante l'opposizione l'imputato può chiedere di essere giudicato secondo gli altri riti previsti dal codice di procedura penale (giudizio immediato, giudizio abbreviato o applicazione della pena su richiesta delle parti) e, ove possibile, di essere ammesso all'oblazione.
Ammenda
Consultando l’articolo 650 del codice penale sul sito Brocardi.it, la parola ammenda rimanda alla seguente definizione: “Pena pecuniaria prevista ex art. 26 per le contravvenzioni e consistente nel pagamento allo Stato di una somma compresa non inferiore a due euro nè superiore a 1.032 euro, da determinare tenendo conto delle condizioni economiche del reo (art. 133 bis-133 ter)”.
Oblazione
Si tratta di un rito alternativo al giudizio penale che prevede il pagamento di una somma di denaro che estingue il reato contravvenzionale. Viene definita «depenalizzazione negoziata». Questa può essere prevista nel caso della violazione dell’articolo 650 del Codice penale, ma potrebbe non bastare e lo spiegheremo successivamente.
CONSEGUENZE IMPORTANTI
Da quanto sopra esposto, risulta manifesta la differenza tra:
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il pagamento dell'ammenda irrogata con il decreto penale di condanna, in questo caso: il decreto penale non opposto costituisce a tutti gli effetti una condanna che, come tale, dovrà essere dichiarata ogniqualvolta verrà richiesto all'interessato se abbia precedenti penali;
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il pagamento dell'ammenda a seguito di richiesta di oblazione: si ha invece l'estinzione del reato e conseguentemente la "fedina penale" pulita, e cioè l'assenza di iscrizioni nel certificato del casellario giudiziale.
Non risulta che dobbiate subito pagare un’ammenda, dato che a decidere le sorti – arresto o ammenda – della persona segnalata dalle forze dell’ordine debba essere un giudice. In ultimo vi è anche la possibilità di avvalersi dell’articolo 168 bis c.p. che prevede la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato soluzione alternativa potrebbe essere presa in considerazione qualora ricorrono i presupposti previsti dall’istituto. Tale istituto, regolato ai sensi dell’art. 168 bis c.p. stabilisce che per i reati per cui la legge prevede una pena pecuniaria o comunque una pena non superiore nel massimo ad anni 5, è possibile tramite un’attività di volontariato, estinguere le conseguenze del reato. Altre vie possibili sono quelle del patteggiamento, ma senza dilungarci oltre dobbiamo considerare altri reati che potrebbero essere contestati.
Altri reati? Falsa autocertificazione
Tralasciando per il momento quel «se il fatto non costituisce un più grave reato» presente nell’articolo 650 del Codice penale, come la resistenza a un pubblico ufficiale, a far scattare il tutto è la mancanza di giustificazione posta nell’autocertificazione che viene mostrato al pubblico ufficiale. Questo fatto può portare ad un’altra violazione di reato. Risulta chiaro che l’autocertificazione non è uno scherzo, le motivazioni devono essere valide e provate. In caso di falsa autocertificazione dobbiamo considerare anche un altro reato previsto dall’articolo 483 del Codice penale:
Art. 483 Codice penale
“Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni.”
Oppure l’articolo 495 del Codice penale:
Art. 495 Codice penale
“Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni.”
Tale situazione renderebbe vano tutto il discorso dell’audio anche in un secondo caso.
Altri reati? La diffusione di una malattia infettiva
Per chi viola la quarantena è previsto un altro reato presente nel testo unico delle leggi sanitarie all’articolo 260 del Regio Decreto 27/07/1934, n. 1265 (T.U. leggi sanitarie:” Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 40.000 a lire 800.000”. A differenza dell’articolo 650 del Codice penale è previsto sia l’arresto che l’ammenda, rendendo vano di fatto la possibilità di procedere con l’oblazione.
Lo scenario peggiore
Consideriamo lo scenario peggiore. Se la persona fermata risultasse positivo al nuovo coronavirus e questo, violando le disposizioni del decreto Conte, infetta a sua volta altre persone può essere accusato di diffondere un’epidemia.
Art. 438 Codice Penale
“Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”.
Pur considerando che per essere accusati di tale reato bisogna scatenare un’epidemia, e dunque contagiare un numero consistente di persone, nel caso più «fortunato» si potrebbe parlare di reato di epidemia colposa previsto dall’articolo 452 del Codice penale che cita l’articolo 438:Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito: 1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte; 2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo; 3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l’articolo 439 stabilisce la pena della reclusione. Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto.
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